Dagli anni '90 del secolo scorso il territorio della Lombardia è testimone di un fenomeno controverso: il consumo di suolo agricolo. Ho avuto modo di parlarne in precedenza in vari post, spiegando in dettaglio cosa è e da cosa è stato generato. Questa volta vorrei soffermarmi su un nuovo aspetto, recentemente emerso: la LR 31/2014. A dicembre la Regione ha voluto porre un freno a questo "ricco gioco", impedendo la rincorsa disperata delle pressioni economiche in campo urbanistico ed edilizio. Essendo questo un tema che da sempre mi ha affascinato e che affronto nella stesura delle VAS (Valutazione Ambientale Strategica) la prima domanda che mi sono posto, come numerosi miei colleghi, è stata: si sta tentando di chiudere il recinto quando i buoi sono scappati?
Per rispondere a questa domanda è necessario fare qualche riflessione passo indietro. Per le precedenti Giunte Regionali quello lombardo era territorio facilmente sacrificabile nel nome di nuovi centri commerciali, autostrade più o meno utili, poli industriali deserti e quartieri disabitati; adesso magicamente e con grande sorpresa viene definito “prezioso”. Così lo ha definito l’assessore regionale Viviana Beccalossi, la quale in un recente convegno sul tema, ha affermato che il suolo agricolo è una fonte non rinnovabile e che l’Expo 2015 offre numerosi spunti sui quali riflettere. Già la Toscana aveva fatto questa riflessione, quasi 20 anni fa, quando era necessario per tutelare il paesaggio, per tutelare i centri storici e salvaguardare il loro rapporto con l’ambiente. La Lombardia invece, come spesso accade, arriva in ritardo sui tempi e mentre prima le scelte perseguite erano quelle del fare e del consumare, adesso la Giunta ne fa un baluardo politico. Quello che l’assessore ha omesso nel suo discorso è che, anche senza una legge ad hoc, lo stop a questo processo lo aveva già offerto "naturalmente" la crisi edilizia che di fatto ha bloccato le mega-espansioni previste dai comuni lombardi, lasciando così spazio alle ristrutturazioni puntuali o di porzioni di città già urbanizzate. A mio perere e per formazione culturale, ho la forte impressione che impedire il consumo di suolo in un momento storico per niente prolifico al mercato edilizio, assume una non tanto velata sfumatura di ipocrisia: in pratica coloro che hanno aperto il cancello una quindicina d’anni fa, sono gli stessi che adesso stanno cercando di chiuderlo. Non è in discussione la bontà del principio ma le tempistiche non lasciano spazio a numerose interpretazioni.
> Posta un commento...