Fin dal 1942, anno della prima legge urbanistica nazionale, la priorità è sempre ricaduta sull’espansione indiscriminata dell’urbanizzato. Non a caso nella suddivisione delle zone omogenee, le legge poneva le aree agricole in fondo all’elenco, come se fossero a corredo più che un valore aggiunto del territorio.
Da allora le nuove zone residenziali e produttive sono sorte a migliaia, trasformando la regione Lombardia in una cozzaglia disordinata in cui spazi urbanizzati e spazi agricoli si alternano e vengono contesi. D'altronde, in una regione, dove ogni giorno si perde l’equivalente di 17 campi da calcio di terreno agricolo, è arrivato il punto di non ritorno, il momento in cui la pianificazione opera un dietrofront epocale, e l’urbanistica finalmente ha come obiettivo primario la salvaguardia del suolo e delle casse pubbliche.
Ma esattamente, cosa sta succedendo?
Caso esemplare, e seguito in prima persona, il comune di Mazzano (Bs) che nel 2008 ha previsto 1.200.000 mq di nuove espansioni. Dopo l’avvento della crisi globale e le ristrettezze delle risorse pubbliche (determinate anche dal patto di stabilità), il nuovo strumento urbanistico, adottato recentemente, taglia la bellezza di 740.000 mq di espansioni! In parole povere, le aree agricole sono state riconosciute quale presidio prioritario contro il consumo di suolo e le reti ecologiche hanno trovato finalmente la giusta collocazione nelle previsioni di sviluppo. L’intenzione dello strumento non è quello di soffocare l’iniziativa privata ma convertirla verso qualcosa di diverso, verso uno sviluppo sostenibile in cui economia, ambiente e società possano convivere.
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