In questi giorni a Chiari (Bs) si è svolta, nella cornice di Villa Mazzotti, l'annuale rassegna della Microeditoria. Come ogni anno, si svolge un convegno dedicato all' architettura e all'urbanistica, con la presenza di un ospite illustre. Quest'anno è toccato a Vittorio Gregotti, architetto e teorico di fama mondiale, il quale ha realizzato più di 860 opere in tutto il mondo, oltre numerosi libri e tante docenze in molte università.
Gregotti, dall'alto della sua esperienza sessantennale, ha cominciato con una tesi molto critica e cioè che l'architettura oramai si identifica con il design. L'edificio si colloca in un territorio come un oggetto in un'abitazione e che la cultura dominante è quella in cui l'immagine dell'oggetto è più importante dell'oggetto stesso. A dimostrazione di questa tesi Gregotti ha raccontato di essere stato recentemente giudice a un concorso internazionale. A vincere è stata una importante real estate americana che a garanzia della bontà del progetto ha dimostrato che lo stesso edificio è già stato realizzato in Australia, con ottimi risultati funzionali; questo a dimostrare che ormai l'oggetto architettonico non ha più radici nel territorio e nella tradizione ma, come una pedina, preso e spostato da un continente all'altro con molta disinvoltura. Il mondo si sta sempre più uniformando alle logiche globali del prodotto. Una volta le esperienze all'estero erano utili a chi vi si recava per capire le tendenze, approfondirne le ragioni, comprendere i cambiamenti e sviluppare senso critico; al giorno d'oggi è sufficiente visitare uno degli innumerevoli siti online sull'argomento per capire cosa stia succedendo in America o in Giappone.
Per questi motivi, ma non solo, la figura dell'architetto secondo Gregotti sta mutando: da progettista a "rappresentante della complessità"; ha infatti ricordato come in Italia ci siano quasi 150.000 architetti, contro i 40.000 in Francia e Germania e i 20.000 in Inghilterra.
Altro giudizio molto critico è stato rivolto nei confronti del fenomeno Expo e come questo tipo di manifestazioni in realtà nascondano grandi speculazioni edilizie legate al valore dei terreni e delle opere da realizzare; secondo la sua esperienza le aree coinvolte da queste esposizioni convogliano ingenti risorse economiche, lasciando grandi vuoti urbani negli anni successivi. Pochi sono gli esempi lungimiranti e secondo il giudizio di Gregotti quello di Milano del 2015 non porterà grandi innovazioni, visto il tema molto complesso e sui cui l'architettura ben poco puó fare.
Come ultima considerazione ha espresso diversi giudizi riguardo il paesaggio italiano e la sua tutela; secondo il famoso architetto ben poco si puó fare per poter recuperare il patrimonio perduto. Ormai, ha proseguito, non si tratta più di ragionare nell'ottica di sviluppo bensì è necessario parlare di equilibrio; l'affermazione a supporto di questa tesi è che si possa creare lavoro, economia e quindi sviluppo senza obbligatoriamente passare attraverso il consumo di territorio e le consuete logiche imprenditoriali. Riguardo questo tema, alla fine dell'incontro gli è stata posta una semplice quanto efficace domanda: "visto che l'attuale modello risulta essere obsoleto, secondo lei quali sono i modelli da perseguire?"; purtroppo il famoso architetto è stato sfuggevole, rispondendo "lo chieda ai politici, non a me"
L'incontro si è chiuso subito dopo e l'amaro in bocca per la risposta data all'ultima domanda resta; ma come?! Lei che ha fatto quasi 1000 opere in tutto il mondo e che ha contribuito alla situazione attuale, si lamenta della stessa e ad una domanda "semplice" scarica la responsabilità sulla politica?
Spero proprio che gli attuali architetti possano assumersi la responsabilità meglio di come abbia fatto la generazione precedente.
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